Ho avuto da sempre una grande passione per le persone libere, originali, non conformate alle aspettative degli altri. Non sto parlando necessariamente di persone sopra le righe, ma di menti libere, che seguono i propri principi e la propria visione delle cose. A volte spiccano tra gli altri come autentiche, splendide, fiere pecore nere. A volte percorrono il proprio cammino quietamente, vivendo in modo fluido, scivolando come l’acqua, piegandosi e deformandosi per poi recuperare la propria forma una volta superato l’ostacolo.
Anche se in molte occasioni ci si trova a dover seguire, tra le due vie, la seconda, le pecore nere hanno sempre avuto la mia massima simpatia.
Il loro coraggioso grido di ribellione è liberatorio e puro, non scende a compromessi.
È il grido di Selvaggia, protagonista di questo albo davvero particolare. Selvaggia è cresciuta nella foresta, non si sa da dove sia venuta, eppure quello è esattamente il posto in cui sente di dover stare. Lo sa lei, lo sanno gli animali che la allevano e la proteggono.
A contatto con loro è se stessa, è felice e appagata. È completa. Inevitabile che il pensiero corra a Mowgli o a Tarzan, Selvaggia un pochino li ricorda.
Un giorno però un incontro rischia di cambiarle la vita per sempre: degli uomini la portano nel mondo civilizzato, la allontanano da casa sua. Cercano di pettinarle le chiome, arruffate e vitali come un cespuglio erboso; vorrebbero impartirle lezioni per farla parlare, comportare e vivere come una qualunque persona.
Per quei nuovi genitori, che ai suoi occhi sono gli unici a essere “strani”, Selvaggia deve essere come gli altri, deve adattarsi, uniformarsi.
Ma lei dentro è selvaggia, nome che, nel suo caso, non vuol dire priva di regole. È nata libera, ha fatto proprio il modo di vivere dei suoi amici animali, le loro regole. Può sembrare esagerata, ribelle e cocciuta, ma è semplicemente diversa, vera, senza filtri e compromessi.
I giorni passano e lei si sente sempre più triste e incompresa. Nessuno si cura davvero di lei, nessuno si preoccupa di capirla o almeno di rispettarla nella sua vera essenza.
Così un giorno, al culmine della rabbia, scappa via e ritorna nel suo amato bosco, dai suoi adorati amici. Con lei fuggono anche il cane e il gatto di casa. Sarà una fatalità? Secondo me no.
Selvaggia gli somiglia. La sua spontaneità, l’incredibile forza dei suoi sentimenti, la purezza con cui guarda al mondo, sono così simili a quelli di una qualunque creatura che popola i boschi o i mari o i cieli. Tutti sono nati per essere liberi, per essere amati così come sono.
Non solo Selvaggia, ma tutti i bambini sono così. Non è forse per questo che li amiamo? Per la loro capacità di ridere per un nonnulla, di emozionarsi o dispiacersi per ciò che a noi ormai sembra normale e per niente degno di attenzione?
Creature come loro, come Selvaggia, possono essere accompagnate nel viaggio che è la loro esistenza, possono essere educati e affiancati, ma, come dice Emily Hughes, mai domati.
Il dominio implica controllo, comando, mai amore. Selvaggia, piccola e dolce pecora nera, è uno qualunque dei bambini che ogni giorno incontriamo. Non ci chiedono di essere sempre compresi, ma solo di essere ascoltati, rispettati, lasciati liberi di essere quello che sono, cioè semplicemente, straordinariamente, bambini.
Buona lettura
Selvaggia [Emily Hughes, Settenove, 2015. Età di lettura: dai 4 anni]