La grande fabbrica delle parole
[Agnès de Lestrade e Valeria Docampo, Terre di Mezzo, 2010. Età di lettura: dai 5 anni]
Parole. Quante parole sentiamo dire e a nostra volta pronunciamo ogni giorno? Tante, a volte direi quasi troppe. Un numero talmente elevato che a volte perdono ai nostri occhi importanza e valore.
Già, quanto mai può valere una parola?
Esiste uno strano paese in cui le parole sono proprietà di pochi e in particolare di chi se le può permettere. In quel posto le parole costano, hanno un prezzo concreto e un valore che aumenta in base alla loro rarità, alla preziosità del concetto che esprimono.
A produrle è la grande fabbrica delle parole. Ne sforna di ogni genere e tipo: dalle più comuni ed “economiche”, alle più ricercate e “costose”.
Per poter parlare la gente è costretta a comprarle e inghiottirle, come una caramella o una medicina. Ne consegue che in quel paese quasi nessuno parla e che chi non ha i soldi si procura le parole frugando nei cassonetti, senza trovare però granché tranne “un mucchio di carabattole e fichi secchi“.
Philéas vive proprio lì. Philéas è un ragazzetto come tanti e nel suo paese, come tanti altri ragazzi della sua età, va a caccia di parole con un retino acchiappafarfalle cercando di catturare quelle che, trasportate dal vento, volteggiano eleganti per le vie della città.
Ebbene, si dà il caso che di lì a qualche giorno sarà il compleanno di Cybelle, di cui Philéas è molto innamorato. Vorrebbe sussurrarle poesie, forse addirittura dichiararsi, ma non può. Non ha soldi. Quindi, purtroppo, non ha parole adatte all’occasione.
Allora fa del proprio meglio e col suo retino cattura ben tre parole che riserverà solo a lei: “ciliegia, polvere, seggiola”.
Philéas è povero, ma col cuore gonfio di tutte le parole che non può dire si reca da lei. Suona alla sua porta, quando lei apre Philéas vede che, fatalità (o forse no), Cybelle indossa uno splendido vestito rosso proprio come una ciliegia.
Lui le sorride, in silenzio. Lei, senza proferire parola, sorride. A rovinare il momento arriva Oscar. Quello sì che è ricco! La cosa più odiosa però è che grazie ai suoi soldi ha potuto comprare molte parole.
Oscar parla e naturalmente lo fa per corteggiare Cybelle. Philéas respira a fondo, apre il suo cuore e pronuncia le parole catturate per Cybelle. Sono solo tre, eppure sono “come gemme preziose” che colorano l’aria.
Lei non sorride più, si avvicina e lo bacia sul naso. A lui è rimasta una sola parola, trovata tempo prima e conservata a lungo in attesa dell’occasione giusta: “ancora” dice Philéas. Non serve aggiungere altro per suggellare quello che sentono.
Quanto vale una parola allora. A volte tanto. A volte niente. A volte non troviamo quelle giuste; altre volte se ne sprecano senza motivo, quando basterebbero un sorriso, un bacio.
La cosa importante è che quello che diciamo abbia un senso, un fine, che faccia qualcosa di buono, come una piccola gemma preziosa, una carezza per l’anima.
Buona lettura
Maria Salbego