I Cinque Malfatti
[Beatrice Alemagna, Topipittori, 2014. Età di lettura: dai 5 anni]
“Erano cinque. Cinque cosi malfatti”. Cinque cosi, indefinibili, non classificabili, non schedabili o identificabili in alcuna delle nostre normali categorie. Cinque amici.
Uno è tutto buchi e di un celestino simile alla nebbia; uno è piegato in due come una lettera e fatto di ritagli di vecchi giornali; uno è molle e sempre stanco e somiglia a un grosso baco da seta; il quarto parrebbe anche abbastanza negli schemi, se non fosse a testa in giù. Il quinto però è il più strambo di tutti: è grosso e nero, sbagliato dalla testa ai piedi, nulla in lui sembra avere un senso o una giustificazione.
Questi cinque vivono tutti insieme in una casa che – guarda un po’ -.come i suoi inquilini è anch’essa un po’ sbilenca e malmessa.
Naturalmente, visto il loro aspetto e la loro natura, questi bizzarri individui non conducono una brillante esistenza, ma se ne stanno lì a ridere, senza saper fare nulla di speciale e senza un vero scopo nella vita. O almeno così pensano.
Un giorno arriva un tipastro, di quelli che non stanno simpatici proprio a nessuno, o perlomeno non a me: bello, con una chioma rosa lunga e folta e ogni cosa al posto giusto. Una specie di damerino perfetto e, soprattutto, un gran criticone.
I cinque malfatti lo accolgono nella loro casetta disordinata, ma piena di allegria. Qui il tipo straordinario li incalza per sapere cosa facciano nella loro vita e loro ammettono con magnifico candore: “Boh. Niente. Sbagliamo tutto”.
Lui vorrebbe a tutti i costi trovare per loro un progetto, uno scopo, un’idea, ma quei cosi, senza nemmeno rendersene conto, lo canzonano.
Allora il perfetto sbotta: “Dunque non servite a niente! Siete delle vere nullità!”.
I cinque malfatti, senza tanto scomporsi, gli rispondono per le rime, mettendo finalmente in luce ciò che li rende unici. Poi se ne vanno a braccetto, sempre ridendo, mentre il tipo straordinario resta lì, indubbiamente perfetto, ma innegabilmente solo.
Amo questo albo per la forza e la profondità che si cela nelle parole dei suoi protagonisti. Per tutti sono soltanto dei cosi imperfetti. Dei “cosi”, ripeto. Nemmeno dei “tipi”, come il tipo straordinario, ma soltanto degli affari che sembrano trovarsi al mondo un po’ per caso.
Eppure hanno immense qualità. Non la bellezza, né la prestanza fisica, né un’intelligenza particolare che li distingua, ma l’amicizia, la complicità, l’accettazione dei propri e degli altrui difetti, la rara capacità di ridere delle proprie imperfezioni e di saperle tramutare in punti di forza.
Quello bucato non sa arrabbiarsi, quello piegato porta con sé mille ricordi, quello molle indubbiamente è un tipo rilassato, il capovolto sa vedere le cose da una prospettiva diversa.
Cos’ha di buono quello tutto sbagliato? La sua risposta per me è la più irresistibile in assoluto: “Quando mi riesce qualcosa si fa festa!”.
Ho trovato questa affermazione terribilmente disarmante e vera.
Gli amici, infatti, sanno gioire dei progressi dell’altro, delle sue piccole vittorie, dei suoi traguardi. Vedono in noi risorse che noi stessi non sappiamo di possedere e ce le fanno scoprire rendendoci migliori.
Attenzione però: ho detto migliori, non perfetti. Di tipi perfetti, sembrerà strano ma pare che il mondo sia pieno!
Sono i malfatti quelli che davvero mancano, con le loro imperfezioni, la casa in disordine e la loro voglia di non prendere mai la vita troppo sul serio.
Buona lettura!