Piccola Orsa
[Jo Weaver, Orecchio acerbo, 2016. Età di lettura: dai 4 anni]
Questa è la storia di un giorno di primavera, di un giorno speciale. Grande Orsa esce dalla sua tana e annusa l’aria: è ora di andare.
Con lei, questa primavera, c’è Piccola Orsa. Piccola Orsa del mondo sa ancora poco, ci sono tante cose nuove da imparare, da scoprire e sperimentare che Grande Orsa deve mostrarle!
Vanno nella foresta e Piccola Orsa conosce molti amici, poi Grande Orsa per prima cosa le insegna a pescare e a nuotare.
Le illustrazioni sono estremamente poetiche, grandi tavole che sfumano dal bianco ai toni del grigio. Sembra che l’intera storia sia permeata da una sorta di lieve penombra, come se l’autrice volesse farci osservare ogni cosa mantenendo un pochino di distanza, per non disturbare la loro intimità, per non rischiare di irrompere il loro bellissimo viaggio.
Jo Weaver, nella sua lingua, può concedersi il lusso di non dare una connotazione di genere ai due orsi.
È davvero un privilegio in questo caso, a ben vedere.
Big Bear e Little One. Il grande e il piccolo, l’adulto e il giovane inesperto, gli occhi attenti e tranquilli e quelli curiosi e irrequieti.
Semplicemente un genitore e un cucciolo, un amore che in italiano ha preso una declinazione tutta al femminile, ma che non farebbe comunque alcuna differenza.
Jo Weaver racconta di un legame inscindibile, di un viaggio che implica pazienza e calma, di un percorso che è anche interiore.
“Io sono con te, Piccola Orsa” dice la madre. Poche parole semplici, asciutte, pacate, così come il resto del testo. Eppure mi hanno fatta commuovere. Le parole di ogni madre, di ogni padre, di ogni amico fedele.
Significano fiducia, sicurezza, parlano di un sostegno continuo, trasmettono il calore di un abbraccio, vengono sussurrate mentre i due orsi se ne stanno immersi in un lago, nella pace della natura.
Andiamo avanti con la storia. La primavera passa e così l’estate con le sue notti stellate da ammirare con il naso all’insù. Arriva l’autunno e le piante cariche di frutti maturi con cui riempire la pancia. Si può giocare ancora un po’, appesi agli alberi o saltando per raggiungere le foglie che volano sollevate dal vento.
L’inverno sta tornando, comincia la prima neve e Grande Orsa sente che è ora di fare ritorno alla tana.
C’è ancora un briciolo di tempo però, un istante per guardare la vallata coperta di un velluto di neve bianca.
Poi si alza il vento e il viaggio ricomincia, fino a raggiungere la tana abbandonata a primavera.
Un intero ciclo di stagioni si è susseguito, è tempo di letargo. I due orsi si perdono in un lungo sonno, la cucciola se ne sta raggomitolata accanto alla madre, forse sogna le avventure vissute, forse immagina che cosa accadrà la successiva primavera.
Si sveglierà un pochino più grande. Questo è sicuro.
Maria Salbego